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"Favela delle vacanze" a Baia Domizia |
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È passato quasi un anno da quando il Corriere del Mezzogiorno ha acceso i riflettori sulla "favela delle vacanze": migliaia di baracche o di villette più o meno pretenziose, tutte rigorosamente abusive sorte come i funghi a partire dalla metà dagli anni 80 alle spalle di Baia Domizia, a poche centinaia di metri dal centro. Una ferita aperta e sanguinante rimasta nell’ombra per circa 25 anni. Colpa dell’inerzia delle istituzioni preposte, di silenzi e complicità che hanno consentito che la piaga si allargasse ogni giorno di più. L’estate scorsa, dopo l’inchiesta del nostro giornale, qualcosa pareva cambiato: la Procura della Repubblica di Santa Maria aveva immediatamente aperto un fascicolo; mentre la Regione aveva inoltrato ai Comuni di Cellole e Sessa Aurunca una richiesta di chiarimenti da ottemperare «entro 15 giorni», prima dell’avvio delle procedure di abbattimento. Ed invece, a distanza di 12 mesi, tutto è rimasto com’era. Anzi, proprio in queste ore ci sono cantieri aperti, ben visibili anche dalla strada. Come a dire che passata la buriana, si è tornati alla "normalità" a dispetto del clamore suscitato dalla vicenda sul piano nazionale: a settembre, infatti, arrivarono persino le telecamere di Ambiente Italia per documentare lo scandalo di quella cittadella abusiva, che deturpa il paesaggio ed inquina il mare. Nel gergo locale è chiamata "Pantano", ed il toponimo ricorda che prima della bonifica voluta da Mussolini quella vasta piana era ricoperta dalle acque. Oggi, invece, brulica di abitazioni sorte su terreno demaniale sottoposto sin dal 1985 al vincolo paesaggistico della legge Galasso (inibitoria assoluta per i nuovi edifici). Quante siano effettivamente nessuno lo sa: c’è chi dice 5 mila, chi addirittura di più. Perché lì a Pantano è accaduto più o meno quello che avveniva nel Far West: la gente arrivava, si sceglieva un pezzo di terra, e fatto il segno della croce decideva che lì sarebbe sorta la propria casa per le vacanze. In principio erano solo catapecchie, con la copertura in lamiera o in amianto. Poi, nella più totale assenza di controlli da parte degli enti preposti (il Comune di Cellole e, in minima parte, di Sessa Aurunca), quelle baracche hanno cominciato a trasformarsi in edifici in muratura. Attraverso il dedalo di viottoli polverosi che si snodano per chilometri e chilometri dalla Domiziana fino alle porte di Baia e fin quasi al Garigliano, accanto ai numerosi tuguri, ai materassi, agli elettrodomestici arrugginiti, agli altri rifiuti ingombranti abbandonati lungo il ciglio, non è raro scorgere villette dotate di tutti i comfort. C’è chi, addirittura, ha asfaltato tratti di strada e li ha autocraticamente intitolati. C’è l’elettricità concessa dall’Enel, c’è l’acquedotto comunale, ci sono i fili del telefono (e ci si chiede ovviamente come sia possibile). Ma non le fognature e i pozzi neri: tutti, o quasi, hanno risolto il problema allacciando gli scarichi fognari direttamente ai canali di bonifica, divenuti ormai vere e proprie fogne a cielo aperto. E quei canali di scolo stracolmi di liquami finiscono poi direttamente nel mare. tratto dal corrieredelmezzogiono.it |